Consigli di lettura

Il libro d'Isaia
Traduzione di Gian Ruggero Manzoni
A cura di Marilena Spataro

Spatarocopertina ISAIA 1




























Scrittore, poeta, teorico dell'arte, pittore. Tra le decine di libri scritti in ambito artistico, culturale e letterario, a partire da inizi anni '80, Gian Ruggero Manzoni, ha, anche, tradotto e pubblicato ben tre testi biblici: Esodo nel 2010, Genesi nel 2022, infine, quest'anno, Isaia per le Edizioni De Piante, probabilmente, il più impegnativo tra i tre libri tradotti.

A parlarci di questa sua ultima fatica letteraria e' lo stesso autore attraverso una sintetica presentazione scritta (riportata sotto) del testo biblico unitamente a un incisivo e avvincente excursus storico, nei tempi attuali illuminante, sul pensiero, i costumi e la civiltà del popolo ebraico.


Tra il Tutto e il Nulla

Per una nuova traduzione del Libro di Isaia

Innanzitutto necessita dire che ormai tutti gli studiosi considerano questo importantissimo e interessantissimo libro (sia dal punto di vista letterario, sia dal punto di vista filosofico, sia dal punto di vista teologico, sia come ricca fonte di informazioni storiche inerenti il popolo ebraico) un’opera composita (quindi una scrittura a più mani), pervenuta alla forma attuale poco prima del 140 a.C. (ultima data indicata a livello accademico), quando gli Ebrei, dopo vari conflitti, anche “civili”, cioè consumati fra loro, finalmente si riunirono, di nuovo, in un unico regno. Il libro consta di tre parti distinte che vengono rispettivamente attribuite: a) all’Isaia storico (o Primo-Proto Isaia, operante circa a metà dell’VIII secolo a.C., e questo dal capitolo 1 al 39, ma, più probabilmente, dall’1 al 31); b) al cosiddetto Deuto o Deutero-Isaia (o Secondo Isaia, operante a metà del VI secolo a.C., e questo dal capitolo 40 – o 32 che sia – al capitolo 55); c) al Trito-Isaia (o Terzo Isaia, operante nell’ultimo quarto del VI secolo a.C., e questo dal capitolo 56 al capitolo 66). Per chi non lo sapesse Isaia, il cui nome significa “Dio o il Signore (mi) salva” (nato forse nel 780 a.C. – alcuni dicono nel 770 a.C., altri nel 765 a.C. – e morto, circa, nel 645 o 648 a.C., quindi comunque molto vecchio se non vecchissimo!), era un Levita, cioè apparteneva alla tribù di Levi.

Figlio di un certo Amoz, visse tutta la sua esistenza a Gerusalemme e pare avesse origini nobili (quindi farisee), inoltre sembra fosse sposato con una sorta di “veggente”; si crede, altresì, che da tale unione avesse avuto due figli, e si reputa che fosse attivo, a corte, quale consigliere, e ciò dal regno di Ozia (781-740 a.C.) fino a quello di Manasse (689-642 a.C.), attraverso i regni di Iotam (740-736 a.C.), Acaz (736-716 a.C.) ed Ezechia (716-689 a.C.); inoltre, secondo la tradizione, pare che Isaia sia stato ucciso quale martire (fatto a pezzi con una sega di legno) durante la sovranità del crudele, sanguinario, blasfemo e idolatra Manasse, il quale mai sopportò quello che l’incorruttibile Isaia diceva riguardo la possibile venuta di un messia e la sua “moralistica”, seppur equa ed elevata, pre- senza entro la reggia. Inutile dilungarsi sulla storia degli Ebrei comprendente quel lungo periodo (in parte ne parlerò in uno scritto successivo a questo), basti sapere che il libro tratta di eventi che partono dalla morte di re Salomone, quindi dalla divisione delle dodici tribù ebraiche in due regni posti, all’incirca, dove ora si ha lo Stato di Israele (Regno d’Israele a nord e Regno di Giuda a sud), fino all’Impero Persiano di Ciro il Grande (nato nel 590 a.C., morto nel 530 a.C.). Testo oltremodo simbolico, metaforico, “ossimorico”, psicologico, a volte criptico, il Libro di Isaia, che ci presenta un Dio spietato ma, parimenti, indulgente, violento ma misericordioso, sanguinario ma benevolo, geloso ma amoroso, offensivo ma consolatorio, politico ma santo, seminatore di peste ma taumaturgo, pubblico ministero, oltremodo severo ma, nel contempo, anche pietistico avvocato difensore, collerico ma paterno e, perché no, anche materno, e questo sia nei confronti dei nemici sia nei confronti dei popoli stranieri sia, soprattutto, nei confronti del “suo popolo”, purché in lui si credesse… purché in lui si avesse fede… purché lo si riconoscesse quale “unico” e, dopo essersi convertiti, lo si venerasse, lo si “coccolasse”, tramite i sacrifici indicati, e sottostando ai suoi comandamenti e alle sue regole… dicevo, il Libro di Isaia non è facile da tradursi – dal greco antico della Septuaginta (III secolo a.C.), poi guardando il latino delle Vulgata (IV secolo d.C.), e infine, per concludere, parametrando il tutto con l’ebraico di quei tempi, cioè quello usato per redigere il Tanakh o Bibbia Ebraica (XIII secolo a.C.) – in particolare perché più volte (se non sempre) la voce di Isaia si mischia con quella dell’Onnipotente, e viceversa, così che non si comprende chi l’uno o chi l’altro, e reputo che ciò sia stato più che voluto, considerato che era un profeta divino (quindi “profeta” nell’accezione di “colui che par- la per conto di un altro”), il quale narrava, descriveva e sentenziava, e inoltre perché, come si è detto in precedenza, molte sono state le mani che hanno rivisto il tutto, 8 ritoccandolo qui e là, al fine di adattarlo alla propria visione religiosa, e questo sia prima che dopo la venuta di Gesù di Nazareth.

Comunque l’entrare in questo libro attanaglia colui che cerca di sviscerarne la pura essenza fideistica e, in particolare, etico-poetica. Infatti Isaia fu anche uno degli ispiratori della grande riforma religiosa avviata da re Ezechia, quella che mise al bando le usanze idolatre e animiste (che gli Ebrei avevano adottato imitando i popoli vicini) nonché ogni sovvertimento inerente i comandamenti introdotti da Mosè, per quindi scagliarsi contro i sacrifici umani (prevalentemente di neonati o bambini), contro i simboli sessuali, gli idoli di ogni forma e materiale, nonché contro i “facili costumi” che avevano “appestato” il popolo giudaico. Altro bersaglio della riforma furono le usanze culturali puramente edonistico-esteriori e quelle pratiche religiose, di vario genere e grado, che non erano sostenute da una condotta di vita corretta e dal rispetto verso Dio e verso il prossimo. Importante è anche come il concetto di Nulla – parola che, nel testo, ho riportato sempre con la maiuscola quale entità, quale componente a tutti gli effetti, come fosse la sola alternativa a Dio o il suo contrasto, nonché quale “personaggio” – in questo scritto si faccia strada. Secondo gli insegnamenti della Cabala ebraica, prima che l’Universo, di cui facciamo parte, fosse creato, esisteva solo Ayin (il Nulla, o meglio, Nulla, senza l’articolo). Ciò fu ribadito nell’importante testo Sefer Yetzirah (il Libro della Creazione o della Formazione, 9 scritto da anonimo, si crede in Babilonia, nel III secolo d.C.) e dal rabbino Sa’adya ben Yōssef, da noi conosciuto come Saadya Gaon, nato in Egitto nell’882 d.C. e morto a Baghdad nel 942 d.C., il quale sostenne, con sommo coraggio, che (il) Nulla era alla base di (del) Tutto (quindi Tutto era = “yesh me-Ayin” = “un qualcosa da Nulla”), e che Tutto sarebbe tornato prima o poi a Nulla, andando ovviamente contro ciò che invece sostenevano ad esempio gli aristotelici, cioè che il cosmo avesse avuto inizio da un nucleo di materia primordiale e risultasse eterno. Il filosofo e rabbino Moshe ben Maimon, da noi conosciuto come Mosè Maimonide, nato a Cordova nel 1135 d.C. e morto a Il Cairo nel 1204 d.C., “aumentò la do- se”. Dopo aver accettato sia le teorie presenti nel Sefer Yetzirah sia quelle di Gaon, disse e poi scisse, riferendosi a Dio e tenendo presente il Capitolo 2 della Mishnah 6: “Vero che Egli fece Ayin, Yesh” = “Vero che Egli fece ciò che non era in ciò che è”, oppure “Vero che Egli fece Nulla in qualcosa”, o anche “Vero che Egli trasformò il suo anche essere Nulla in qualcosa”, quindi attribuendo a Dio, fra le tante, “anche la sostanza di Nulla”, dando l’avvio a quella che viene definita la Teologia Negativa, per cui non essendoci parole per indicare con certezza il chi sia o il “cosa” sia la divinità, si può solo descrivere ciò che la stessa non è, e in quel “non essere” ecco il massimo castigo anche per gli umani, vale a dire “il tornare Nulla – ahinoi – assieme a Dio”. Quindi Dio è perché non uomo, ma Dio è anche perché esistono gli uomini, sue creazioni da Nulla… sue “affermazioni”… sue “testimonianze”… e mi fermo qui… già questa è “carne molto dura” da digerirsi… “carne che lascio ai teologi”, come avrebbero potuto dire i filosofi tedeschi Friedrich Heinrich Jacobi e Johann Gottlieb Fichte. Innegabilmente questo di Isaia è libro che ha aiutato gli Evangelisti a dare vita al Nuovo Testamento; è libro che ha anticipato l’Apocalisse di Giovanni; è, in primo luogo, un libro sempre attuale perché riflette in pieno quella che è la natura umana, in tutte le sue componenti, fino alle sfumature. Sì, questo è un libro che castiga la mente (la mia compresa, nell’affrontarlo per tradurlo), ma che infine purifica e incrementa, non poco, la voglia di combattere in nome di certi valori e per certi vessilli.

Gian Ruggero Manzoni